Percorsi post-detenzione

La detenzione, nel senso più allargato del termine, può essere suddivisa in tre grandi momenti: il periodo di ingresso (realizzazione di quanto è accaduto e ambientamento), il periodo della pena effettiva, il periodo del cosiddetto fine pena e rientro in società (laddove è possibile, questa tappa è preceduta da una fase preparatoria che prevede permessi a casa o in altri luoghi, lavori o volontariato esterno con rientro serale in carcere). I tre periodi non sono certo facili, ognuno è contraddistinto da aspetti evolutivi ed involutivi, da stati mentali afflitti, connotati sovente da forte ansia che assume spesso le caratteristiche del panico e dell’angoscia.  L’ansia può essere rivolta al passato ed assume così sembianze oppressive in contenuti di pensiero connessi al rimpianto, alla colpa, ai ricordi, alla vendetta, oppure è rivolta al futuro, con connotazioni di tipo anticipatorio: lavoro, famiglia, relazioni sociali.
Una volta terminata la pena si suol dire che la persona “torna in libertà”e riprende il contatto con la società, parenti, amici e conoscenti, qualora esistano, con dinamiche e relazioni più o meno favorevoli, aprendo così una nuova fase della vita spesse volte molto difficile e densa di ostacoli di varia natura.

Counselling and SupportIl periodo del fine pena si rivela quindi estremamente delicato: sia all’interno dell’Istituto di Reclusione, dove si possono manifestare specifici aspetti sindromici, soprattutto in soggetti che sono stati ospitati in carcere per periodi molto lunghi (20, 30 anni) che all’esterno, appena usciti (sentimenti di esclusione, estraneazione, difficoltà nella ripresa delle mansioni quotidiane e degli affetti…). Il sentimento che accompagna questa fase è connotato da ansia, desiderio, speranza, ma anche, paradossalmente, paura nel lasciare un luogo di sofferenza, ma allo stesso tempo contenitivo, rassicurante, cadenzato da abitudini che negli anni hanno creato percorsi neuronali ed emotivi profondi.
Accade che alcune persone non si sentono pronte ad uscire, sperano di non avere particolari riduzioni di pena, proprio per terminare un personale lavoro di ristrutturazione interiore, così come ogni carcere, teoricamente, dovrebbe offrire, oltre alla restrizione della pena.
Le persone che hanno seguito un percorso sulla consapevolezza e hanno appreso tecniche meditative per il controllo e la stabilità della mente riferiscono di essere stati particolarmente agevolati nella gestione delle emozioni distruttive in generale e dell’ansia connessa al fine pena e nel periodo del ritorno in società.

Così ricorda, una persona tornata libera, i momenti trascorsi in gruppo:

Si pensa che il carcere possa lasciare solo ricordi tristi, invece grazie al nostro gruppo potrò ricordarmi di questo periodo con un sorriso e con gratitudine perchè gli insegnamenti appresi vanno al di là del luogo e delle circostanze e sono per la vita.  Il senso di solidarietà creatosi in quelle giornate è straordinario e finirò per rimpiangerlo perchè la vita “fuori” ci fa immergere in cose non essenziali, ci fa perdere il senso intimo di noi stessi, creando muri di distanze dalle persone.

Considerazioni di tale natura, condivise da più voci, hanno persino condotto alcune persone a rientrare più volte in carcere per assistere ad incontri con Maestri e per salutare compagni ancora detenuti.
Agli inizi del 2014, in relazione ai bisogni evidenziati e alla necessità di proseguire il percorso iniziato in carcere si è creato a Milano un piccolo gruppo di persone tornate in libertà che si incontrano a cadenza bimensile. Il lavoro è simile a quello condotto in carcere, con alcuni accorgimenti legati al nuovo contesto di vita. Durante e in alcuni casi anche prima, si è affiancato al gruppo anche un percorso individuale con sedute di sostegno.

Nel corso della primavera del 2015 i referenti educatori degli Istituti di Milano Bollate e di Pavia hanno espressamente chiesto di poter inviare persone bisognose di un supporto (sia a fine pena che ancora in stato detentivo) nel corso del delicato periodo di inserimento lavorativo. In questo caso le persone escono negli orari lavorativi e rientrano la sera in carcere  (art. 21 del codice penitenziario). A tal scopo si sta valutando la possibilità di istituire un pool di psicoterapeuti e counselor che possano offrire percorsi psicologici, di consapevolezza e di meditazione e che operino in una sede specifica.
Tale offerta sarà rivolta anche alle famiglie laddove si ritenga necessario.